UN’ORA DI TROPPO 2020

“Il Limbomiàsma”

L’incredibile esperienza che visse Timèa alle prese con una realtà bidimensionale l’aveva scossa non poco. Adesso si ritrovava suo malgrado a dover ricominciare tutto daccapo.

Tornata nella terza dimensione si mise subito alla ricerca del tanto desiderato padre: Il Signore del Tempo. Timèa non sapeva nemmeno da dove cominciare la ricerca, perché da quando lasciò quel mondo molte cose erano cambiate; era come se fosse passato più tempo di quello che aveva trascorso nel mondo bidimensionale. Decise quindi di incamminarsi percorrendo l’unico sentiero alla sua sinistra che scompariva nel bosco.

Dopo alcune ore di cammino, Timèa notò in lontananza una strana nebbia azzurrognola salire leggera dal terreno, era una nebbia strana perché ovunque si spostasse macchiava del suo colore qualsiasi cosa toccasse, come se possedesse in sé un pigmento colorato indelebile.

– “Che strano!” pensò “avrei giurato che per un attimo la nebbia assumesse forma umana”, ma Timèa era stanca, forse la spossatezza le aveva giocato un brutto scherzo, quindi non se ne curò molto e proseguì verso il luogo da cui quel bizzarro vapore acqueo sembrava scaturire.

Mano a mano che proseguiva sul sentiero, Timèa si accorse che i colori di tutto ciò che la circondava, apparivano sbiaditi e tendenti all’azzurrognolo, come se la nebbia fosse già passata di lì ed avesse contaminato coi suoi pigmenti tutta la vegetazione. Il silenzio che si percepiva era talmente innaturale che Timèa poteva udire chiaramente ogni flebile battito del suo cuoricino.

– “Com’è possibile che in questo bosco non si senta nemmeno cantare un passero, né il ronzio degli insetti, ma solo il fruscio delle fronde mosse dal vento?”. Non ebbe nemmeno terminato di porsi la domanda che, in lontananza, udì una voce stridente gridare: “Chiudetevi in casa! Si salvi chi può!”.

All’udire quelle parole disperate, Timèa si mise a correre verso la fonte di tale disperazione e più correva, più il colore azzurro acquisiva una tonalità scura ed inquietante. Dopo qualche minuto fu molto vicina ad un villaggio che adesso appariva deserto. Sembrava un luogo fantasma, come quelli che tante volte aveva veduto illustrati nei libri di favole che la nonna le leggeva per farla addormentare.

– “Che disastro! Che silenzio terrificante!” disse tra sé e sé Timèa “Ma laggiù c’è una persona! Ehi, riesci a sentirmi?” urlò Timèa correndo verso l’individuo “Ehi tu, che sta succedendo qui?”.

Quando Timèa fu abbastanza vicina, vide che l’individuo se ne stava seduto a terra con le gambe incrociate e lo sguardo fisso sul terreno, mentre il busto dondolava avanti e indietro senza sosta, come il pendolo di un orologio perpetuo. Sulle prime Timèa rimase sconcertata nel vedere che il tizio era solo un bambino, poi prese coraggio e avvicinandosi ancora di qualche metro lo udì bisbigliare ripetutamente la stessa frase recitata come una filastrocca:

“La nebbia sorride
su coltri fantasma,
ti scova e ti uccide
col Limbomiàsma!”

L’agghiacciante nenia scosse profondamente Timèa al punto da farla rimanere letteralmente paralizzata. Tentò con tutte le sue forze di interrompere quell’assurda stereotipia finché, fattasi nuovamente coraggio, appoggiò la mano sulla spalla del bimbo. Questi, al contatto di Timèa interruppe immediatamente la macabra filastrocca e voltandosi rapidamente ad incrociare il suo sguardo, urlò con tutto il fiato che aveva in corpo una sola parola ben scandita: “SCAPPAAAAA!!!”.

In quel preciso istante Timèa si sentì tutta intorpidita ed una forza sconosciuta la sollevò da terra a mezz’aria mentre una voce le si insinuò nella mente: “Timèa, piccola mia, non temere. Il Limbomiàsma non ti farà alcun male!”. Era la voce del Signore del Tempo.

– “Oh babbo caro!” esclamò commossa Timèa “È da molto tempo che ti vado cercando in luoghi impossibili anche solo da immaginare! Ma adesso ti ho ritrovato finalmente!”.

– “Io non sono realmente con te figliola adorata” rispose prontamente la voce “mi sono dovuto nascondere perché questa nebbia assassina è letale solo agli adulti. I bambini come te non hanno nulla da temere dolce Timèa, quindi anche se per un po’ dovremo stare lontani, ti prometto che presto ci riabbracceremo. Andrà tutto bene, vedrai!”.

La forza misteriosa che teneva Timèa a mezz’aria svanì, lasciando cadere a terra la povera fanciulla ormai rassegnata a dover nuovamente rimandare i calorosi abbracci del suo adorato padre.

Rimessasi in piedi si guardò rapidamente attorno in cerca di uno spiraglio che le permettesse di fuggire dalle azzurre coltri che nel frattempo avevano circondato tutta la zona, ma evidentemente non fu possibile. In men che non si dica, Timèa fu avvolta dalla nebbia ed il fiato le mancò per un istante fin quando, con sua meraviglia tutto le apparve chiaro nella mente. Per un motivo che a lei sfuggiva, adesso conosceva ogni cosa del Limbomiàsma, sapeva da dove era venuto, ne conosceva il motivo e per la prima volta sapeva perfettamente cosa fare per renderlo innocuo agli adulti.

Ciò che doveva fare era abbastanza semplice: Raggiungere il prima possibile la vicina locanda chiamata “L’Ovino Regale” e parlare con l’oste, il signor Guglielmo Cancelli, per dissuaderlo dagli affari che avrebbe avuto intenzione di concludere di lì a poco. Non c’era tempo da perdere e anche se la locanda non distasse molto, la fitta nebbia non aiutava certo ad orientarsi per poterla facilmente raggiungere. L’oscurità della notte intanto era calata sul villaggio ed una luce, adesso visibile come un faro nel mare in burrasca, guidò Timèa nella nebbia. La luce, da fioca si faceva sempre più viva man mano che si avvicinava finché, quando Timèa fu abbastanza vicina, poté chiaramente videre l’insegna luminosa della locanda raffigurante una pecora coronata incisa su di uno scudo rosso.

– “Bingo!” esclamò Timèa “L’ho trovata; adesso non mi resta che aprire la porta, entrare, parlare con l’oste e…” stava per abbassare la maniglia quando improvvisamente, il campanile del villaggio fece risuonare i suoi rintocchi: “Don… Don… Don!!!”. Scoccati che furono i tre rintocchi, il silenzio fu rotto dal cigolìo della porta che Timèa nel frattempo si accingeva ad aprire. Ancora silenzio, sia fuori che dentro; un maledetto ed assordante silenzio. Tutto sembrava essere privo di vita e nessun suono si udiva nella locanda nonostante le luci fossero accese al suo interno. Timèa allungò la gamba per entrare, diede l’ultimo sguardo all’orologio del campanile e appena il piede toccò il pavimento, successe qualcosa di incredibile, qualcosa di interessante e singolare; le campane suonarono ancora una volta: “Don… Don!”. Timèa spalancò gli occhi ed esclamò: “Non è possibile… Sono ancora le due!”. Ciò che accadde in seguito, almeno per il momento non è dato sapere, forse tra qualche mese, forse tra un anno, chissà!